Mostra: "Paesaggi di guerra. Sguardi dal fronte alpino del '15 -'18" di Ippolita Paolucci [metre]

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Viene inaugurata oggi (2 febbraio ore 18) la mostra "Paesaggi di guerra. Sguardi dal fronte alpino del '15 -'18" con le fotografie di Ippolita Paolucci. La mostra fotografica vuole raccontare, anche con l'aiuto di lettere scritte dai soldati durante la guerra, come si viveva duramente al fronte in quegli anni drammatici.

Segnalo con piacere la mostra. Qualche tempo fa mi sono trovato a visitare proprio quei luoghi ed anche io ho potuto respirare quanto l'autrice descrive e, nel mio piccolo, ho realizzato una piccola galleria fotografica sui luoghi della "grande guerra".

Vi riporto la presentazione della mostra di Ippolita Paolucci:
(…) Chi dunque - intellettuale o contadino, borghese o proletario - visse l’esperienza di quella prima guerra compiutamente moderna uscì da essa profondamente diverso da come vi era entrato. Era – ha scritto Robert Musil - come se avesse visto il mondo per la prima volta. (…) La sua capacità di fare esperienza si era modificata. (…) “Una generazione che era andata a scuola col tram a cavalli stava ora in piedi sotto un cielo vuoto, in un paesaggio in cui nulla era rimasto immutato tranne le nuvole” (Walter Benjamin, Esperienza e povertà).

Ippolita Paolucci prova a suo modo, coi suoi strumenti, cioè col suo linguaggio fotografico, a raccontare a posteriori questa esperienza. Mentre attiva il suo proprio sguardo, prova a mettersi dal punto di vista dei soldati il cui cuore “si era arrestato almeno una volta” nel corso della guerra. A recuperare le tracce del loro sguardo di fronte all’immensità della montagna e insieme dell’evento che prendeva forma di fronte ai loro occhi. A riascoltare con le loro orecchie la voce immensa del silenzio alpino e l’immenso, improvviso e spaventoso tuonare del cannone cui le valli – scrisse entusiasta Marinetti – facevano da enorme megafono.

Per farlo usa un artificio, ossia forza il senso della fotografia facendone strumento per perforare il tempo oltre le sue stesse possibilità. La fotografia, cui è connaturato – come spiega Roland Barthes – il paradigma “è stato” (ossia: ciò che vedo non è più, è un istante passato, già finito nel momento stesso in cui la luce ne imprimeva le tracce sulla pellicola) sembra infatti, qui, voler includere, nella sua estrema purezza e perfezione, la profondità di un tempo ancora anteriore a quello nel quale è scattata: il tempo della memoria dell’evento incorporata nei luoghi fisici in cui esso prese corpo.

Certo, tra i fili d’erba e i sassi su cui si posa l’obiettivo affiorano qua e là tracce esplicite di presenze e di sofferenze umane, di trincee e camminamenti, di reticolati e altri segni discreti, sommessi, dell’immensa catastrofe di novant’anni fa. Ma il punto non è questo, o almeno non lo è principalmente. Il fatto è piuttosto che lo sguardo esplora le cose della montagna “come se” ancora potessero restituire il tempo che è passato su di loro e di cui sono state testimoni mute: riportarci a quel tempo della guerra quando il mondo si era spaccato e il passato si era separato dal futuro come due pezzi di un iceberg.

Nei fili d’erba che possiamo immaginare immutati, così come negl’immutati profili dei monti o nell’immutata trasparenza dei cieli azzurri (solo le nuvole erano rimaste le stesse), è come se tornassero a vivere gli sguardi e le emozioni, le paure e le attese degli uomini che passarono come in un sogno o in un incubo attraverso quei tre anni e mezzo di guerra. Stupore e sgomento traspare dalle loro parole spezzate, talvolta stentate, scritte nelle lettere a casa che nutrono oggi, fonti preziose e insostituibili, la storia della guerra e che l’autrice contrappunta alle immagini. Stupore, sgomento e incantamento, come di fronte a cose troppo grandi per non apparire misteriose, sembrano oggi riflettere le immagini, quasi specchio capace di spezzare i vincoli del tempo. Come se l’ora che passa sulle rocce e le nuvole, sui gioghi alpini e le pietraie fosse ancora quella della guerra, quella stessa rimasta impressa a fuoco nella scrittura: “Vi scrivo di sotto al rombo delle artiglierie. Sono le 8.30 del 10 giugno 1917”…(Antonio Gibelli)

Il testo è tratto dal catalogo Ippolita Paolucci. Paesaggi di guerra. Sguardi dal fronte alpino del ’15 –18 (Prostampa Sud, 2006)

INFO

dal 2 febbraio al 4 marzo

presso: Centro Culturale Candiani

indirizzo: piazzale Candiani, 7

orario: da lunedi' a venerdi' 15-19; sabato e domenica 10-13 e 15-19

costo: ingresso libero

web: www2.comune.venezia.it



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fotografia di Ippolita Paolucci

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